L'AI ha bisogno di poesia (#108)
SONG OF THE WEEK: David Bowie - Ashes To Ashes
Tre giorni.
Tre giorni sono passati tra l'annuncio della collaborazione di Rick Rubin con Anthropic e la notizia che Jonathan Ive sta fondando una nuova cosa insieme a Sam Altman di OpenAI.
Tre giorni non sono un caso. Sono un segnale.
Quando due delle menti creative più influenti del nostro tempo decidono quasi simultaneamente di entrare nel mondo dell'intelligenza artificiale, non è una coincidenza. E allora?
Il papà che insegna musica alla macchina
Ricordo quando qualche anno fa #figlia1 mi chiedeva di aiutarla con la chitarra. Se ci pensi il processo di apprendimento musicale è davvero complesso: non ha solo a che fare con dove mettere le dita sui tasti, ma come "sentire" la musica e capire quando qualcosa suona giusto o sbagliato.
È esattamente quello che Rick Rubin sta facendo con l'AI.
Rubin, il produttore leggendario che ha lavorato con Johnny Cash, i Red Hot Chili Peppers e Adele, non è entrato nel mondo dell'intelligenza artificiale per programmare algoritmi. È entrato per insegnare alle macchine qualcosa che non si può codificare: il gusto.
"The Way of Code" è infatti un libro interattivo creato in collaborazione con Anthropic, non un manuale di programmazione. È più un trattato filosofico su come collaborare con l'AI invece di comandarla. È Rubin che dice alla tecnologia: "Ascolta, non controllare. Senti, non calcolare."
Quando mia figlia suonava una nota sbagliata, non le dicevo mai "hai premuto il tasto sbagliato". Le dicevo "senti come suona? Ti sembra giusto?" È la stessa cosa che Rubin sta facendo con Claude: gli sta insegnando a sviluppare un orecchio.
Per anni abbiamo pensato che l'evoluzione dell'AI fosse una questione di potenza computazionale. Più parametri, più dati, più velocità. E invece ecco che arriva un hippie californiano con la barba lunga che dice: "No, aspetta. E se invece le insegnassimo a respirare?"
Rubin ha sempre avuto questa filosofia nel suo lavoro musicale. Non aggiunge, toglie. Non accelera, rallenta. Non complica, semplifica. E questo approccio, applicato all'AI, è rivoluzionario.
Ed in effetti questo è un libro su come sviluppare una relazione con l'intelligenza artificiale. È la differenza tra dire a un musicista "suona più forte" e dirgli "suona con più anima".
Pensateci: quante volte avete usato ChatGPT o Claude e avete sentito che la risposta era tecnicamente corretta ma... mancava qualcosa? Mancava quella cosa indefinibile che rende una conversazione umana diversa da una FAQ automatica.
Rubin sta cercando di colmare proprio quel gap. Non con più codice, ma con più sensibilità. Non con algoritmi più complessi, ma con un approccio più umano alla collaborazione uomo-macchina.
Dove porterà questo? Non ne ho idea, ma è stimolante. E mentre Rubin insegna all'AI a sviluppare un orecchio musicale, dall'altra parte della Silicon Valley qualcun altro sta lavorando sulla stessa intuizione, ma dal punto di vista del design.
Ive e la nostalgia del futuro
E poi c'è Jony Ive. L'uomo che ha reso sexy il computer, che ha trasformato il telefono da strumento di comunicazione a oggetto del desiderio, che ha fatto innamorare il mondo di un tablet.
Quando Ive parla della sua collaborazione con OpenAI, dice una cosa che mi ha colpito: "I am reminded of a time, three decades ago, when I emigrated to America. As a designer, I was drawn to the exhilarating and innocent optimism of Silicon Valley."
Innocente ottimismo. Ecco cosa manca oggi alla tecnologia.
Negli ultimi anni l'AI è stata presentata come questa forza quasi apocalittica: sostituirà i lavori, cambierà tutto, ci renderà obsoleti. Ma Ive e Altman stanno puntando su qualcosa di diverso. Stanno puntando sulla meraviglia.
"They reminded us of a time when we celebrated human achievement, grateful for new tools that helped us learn, explore and create", dicono Altman e Ive nel loro annuncio.
Non è nostalgico, è visionario. Ive sa che la tecnologia migliore è quella che ti fa sentire più umano, non meno. È quella che amplifica le tue capacità senza farti dimenticare chi sei.
Quando mia figlia#1 prese in mano il primo iPhone nel 2008 (aveva 4 anni), non disse "wow, che processore potente". Disse "sembra magico". Ecco cosa Ive vuole riportare nell'AI: la magia.
L'interfaccia invisibile: quando la UX diventa "taste"
C’è un altro aspetto, forse ancora più profondo in questa svolta creativa dell'AI. Stiamo assistendo alla nascita di un nuovo tipo di interfaccia utente.
Per decenni abbiamo pensato all'interfaccia come a qualcosa di visivo: finestre, icone, menu. Poi è arrivato il touch e abbiamo iniziato a pensare al gesto. Ora stiamo entrando nell'era del "taste".
Non sto parlando del gusto nel senso letterale, ma di quella sensazione istintiva di "questo è giusto" o "questo è sbagliato" che proviamo quando interagiamo con qualcosa.
Quando uso l'AI nel libro di Rubin, non sto navigando attraverso menu o compilando form. Sto avendo una conversazione che sembra naturale, giusta. Quando userò i prodotti che nasceranno dalla collaborazione Ive-Altman, probabilmente non penserò nemmeno di usare l'AI. Penserò di stare usando uno strumento che mi capisce.
È quello che Altman intende quando dice: "What it means to use technology can change in a profound way."
Lezione per tutti noi
Ora, voi che leggete questa newsletter e gestite team, progetti, budget per l'innovazione, che cosa vi portate a casa da tutto questo?
La lezione che mi porto a casa questa settimana è tanto semplice quanto controintuitiva: l'AI della vostra azienda non ha bisogno di più funzionalità. Ha bisogno di più sensibilità.
Quante volte negli ultimi mesi avete sentito qualcuno dire "dobbiamo integrare l'AI nei nostri processi"? Quante volte avete visto progetti che aggiungevano ChatGPT a tutto senza chiedersi se quello che serviva davvero era un chatbot più intelligente?
Rubin e Ive ci stanno dicendo qualcosa di diverso. Ci stanno dicendo che la prossima fase dell'AI non riguarda la potenza, riguarda la presenza. Non riguarda la velocità, riguarda la grazia.
Questo significa che forse, invece di assumere il quinto data scientist, dovreste assumere qualcuno che sappia riconoscere quando qualcosa "suona bene". Invece di investire in un modello più grande, dovreste investire in qualcuno che sappia come far sentire i vostri clienti quando interagiscono con la vostra AI.
Concretamente?
Fate testare la vostra AI a persone che non sanno nulla di tecnologia - vostra madre, il barista sotto l'ufficio, un bambino di 10 anni. Se dopo 30 secondi non capiscono come usarla o si sentono frustrati, il problema non è loro. È che la vostra AI è tecnicamente corretta ma umanamente stonata.
Iniziate a fare 'audit del gusto': registrate le sessioni degli utenti e chiedetevi non solo 'hanno ottenuto il risultato?' ma 'come si sono sentiti durante il processo?' Assumete qualcuno dal mondo del design, della musica, della psicologia. Qualcuno che sappia riconoscere quando un'interazione è fluida e quando invece è goffa.
Il paradosso della semplicità
La cosa che mi colpisce è che sembra che le tecnologie più complesse che abbiamo mai creato - sistemi di AI con miliardi di parametri, reti neurali che simulano il cervello umano - hanno bisogno delle menti più poetiche per diventare davvero utili.
È come se più la tecnologia diventa sofisticata, più abbiamo bisogno di persone che sappiano ricordarle cos'è essere umani.
Rubin lo sa bene. Ha passato una carriera a prendere tecnologie complesse - studi di registrazione pieni di macchinari costosi - e a usarle per catturare l'essenza più semplice e pura della musica. Un respiro, un silenzio, una nota che arriva al momento giusto.
Ive lo stesso. Ha preso computer che erano scatole beige piene di circuiti incomprensibili e li ha trasformati in oggetti che volevi toccare, che volevi avere sulla tua scrivania.
Ora stanno facendo la stessa cosa con l'AI. Stanno prendendo questa tecnologia incredibilmente complessa e stanno chiedendo: "Come la facciamo sentire umana?"
Tornando al punto di partenza: tre giorni non sono un caso.
Quando due persone così diverse - un produttore musicale e un designer industriale - arrivano alla stessa conclusione nello stesso momento, significa che c'è qualcosa nell'aria. Significa che siamo a un punto di svolta.
Fino a oggi l'AI è stata il regno degli ingegneri e dei data scientist. Da oggi inizia a essere anche il regno dei poeti, dei musicisti, dei designer, di chiunque sappia riconoscere la differenza tra "funziona" e "funziona bene".
E questo cambia un sacco di cose, perché significa che l'AI sta uscendo dalle sale macchine e sta entrando nel mondo reale. Quel mondo dove non basta che una cosa sia tecnicamente corretta, deve anche sentirsi giusta.
E allora la domanda per voi che leggete è semplice: la vostra AI fa sentire le persone più intelligenti o solo più efficienti? Perché la differenza tra le due cose potrebbe determinare chi sopravviverà nei prossimi tre anni.
Questo è il futuro che ci aspetta: un'intelligenza artificiale che non solo calcola meglio di noi, ma che sa anche quando è il momento di smettere di calcolare e iniziare a sentire.
E francamente, non vedo l'ora di vedere cosa succederà quando queste due collaborazioni inizieranno a dare i loro frutti. Quando l'AI di Rubin inizierà a suonare e quella di Ive inizierà a brillare.
Sempre avanti, condannati all'ottimismo!
Giuseppe